I giovedì in Pietra
Autentiche Avventure fuori
porta
L’appuntamento, quasi sempre, è
alle 7.00 in stazione a Modena. Niccolò, il complice principale di queste
mattinate, difficilmente resiste a certe proposte indecenti. Il nostro stato di
studenti e lavoratori part-time ci dà il privilegio di poterci concedere diverse
infrasettimanali, e da qualche tempo siamo in Pietra ogni giovedì.
Sono stati gli Alpinisti del
Lambrusco a portarmi per la prima volta ad arrampicare in Pietra. Tra un’uscita
e
l'altra
con loro ho avuto le prime esperienze alpinistiche e parallelamente ho
conosciuto un gruppo di amici col quale ho condiviso ben oltre le domeniche in
montagna: uno spirito di avventura e un concetto di alpinismo ben preciso.
Niccolò è uno di loro, ovviamente; ne abbiamo già passate tante insieme e siamo
una cordata affiatata.
Obiettivo ricorrente delle
nostre giornate in montagna è la ricerca di avventura, da qui la passione per
l’alpinismo a tutto tondo, con una predilezione per le salite classiche, su
roccia e su ghiaccio. La ricerca di itinerari remoti, inusuali o dimenticati e
il fatto di svolgerli spesso in totale autonomia aggiunge un sapore del tutto
caratteristico al nostro concetto di alpinismo. Non siamo quindi dei patiti
dell’arrampicata sportiva, non rincorriamo i gradi né tantomeno amiamo seguire
file di spit.
Eppure, nonostante per molti
aspetti Bismantova sia sinonimo di falesia e affollamento, questa piccola e
conosciuta montagna ha sempre esercitato su di noi un fascino ammaliante e
irresistibile. Infatti la tanto addomesticata Pietra presenta anche lati più
avventurosi e meno noti: fuori dalle linee più ripetute, ripulite e ben
chiodate, ve ne sono altrettante cadute ingiustamente nel dimenticatoio. Quando
il sottobosco riprende vigore nelle fessure, la roccia si sfalda al più lieve
tocco, la chiodatura è assente o vetusta e insicura, allora le vie acquistano
un altro sapore e, appesi tra l’Eremo e il pianoro sommitale, ci si può sentire
davvero in montagna. Ripetere queste belle linee, spesso senza adeguate
informazioni, richiede un ingaggio decisamente alpinistico, grande attenzione a
tutto ciò a cui ci si aggrappa perché non si stacchi, attrezzatura per ogni
evenienza – protezioni veloci, chiodi e martello, forbici e seghetto per
potature – e un po’ di masochismo: capiamo sempre infatti che per ogni via abbandonata
c’è sempre qualche motivo…
È questo lo spirito che ci dà
la carica in queste mattinate invernali, mentre saliamo lungo le curve per
Castelnovo Monti scegliendo sulla guida di Montipò la via da tentare. Un
piccolo libricino ingiallito che racchiude tutte le migliori avventure
possibili in Pietra e che abbiamo adottato come fedele ausilio delle nostre
esplorazioni. La guida è del ’76, ma noi la preferiamo alle più recenti in
quanto riporta con grande precisione tutte le vie aperte fino ad allora, le più
storiche e belle, solitamente le più abbordabili in arrampicata libera o mista
come usava dell’epoca.
È il quarto – o quinto? –
giovedì consecutivo che andiamo in Pietra. Gennaio è quasi finito, l’inverno se
la prende comoda quest’anno e di neve non se n’è ancora vista. Ripieghiamo sulla
roccia più vicina a casa in attesa di poter scalare neve e ghiaccio appenninici
e, senza quasi accorgercene, ci scopriamo insolitamente ben allenati. Gli
ultimi giovedì ci hanno riservato grandi soddisfazioni, su tutte l’avventurosissima
via del GAB e l’elegante Zuffa ’70. La prima un vero viaggio verso l’ignoto,
un’arrampicata sulle uova e tutta da proteggere su per il sistema di fessure
che sovrasta l’Eremo; quella mattina un signore, con fare da “umarell”, ci osserva
dal piazzale: è Ginetto, ci dà un paio di dritte sul percorso e si complimenta
per la tenacia dimostrata ad infilarsi su di lì. La seconda è una via
bellissima, dritta come un fuso lungo una fessura-diedro che non molla mai, nel
cuore della parete Est: una muraglia verticalissima solcata da linee perfette,
a cominciare dalla Oppio e poi a salire nelle difficoltà. Ad eccezione del
famosissimo camino, infatti, gli itinerari di questo settore sono molto
selettivi e di grande logica, mentre la roccia è spesso friabile e sabbiosa, ma
migliora salendo.
Parcheggiamo in un piazzale
Dante deserto, in un silenzio amplificato dall’aria pungente. Scongiurato il
rischio di lanciare sassi in testa a qualche malcapitato, siamo liberi di tentare
la via che vogliamo. Saliamo la scalinata tintinnando come mucche al pascolo,
facciamo quasi ridere per la roba che abbiamo appesa all’imbrago mentre ci
avviciniamo alla parete Est. L’esile cengia a cui si aggrappa il sentierino
alla base della parete è una perfetta passerella da cui, naso all’insù,
scrutare le fessure che corrono regolari fino in cima.
La guida di Ginetto in mano è
aperta alla pagina della Zuffa-Lenzi, la cerchiamo oltre la Oppio e prima della
Zuffa ’70, dubbiosi su quale sia la fessura giusta.
Si tratta di una via che
sogniamo da tempo, un vero mistero di Bismantova. A dir la verità non proprio
un mistero, piuttosto la certezza di una via quasi mai ripetuta e assolutamente
sconsigliata per la roccia pessima e l’assenza di protezioni sicure. I consigli
di chi la conosce sono concordi: meglio lasciar perdere. Ma noi stamattina
siamo battaglieri e decisi a provarla!
Ordinando la ferraglia sotto
quello che pensiamo sia l’attacco, cerchiamo invano di scorgere dei chiodi tra
la roccia di un giallo caratteristico della peggior roccia della Pietra. Mi
faccio coraggio e parto all’esplorazione di una fessura che si rivela subito
impegnativa, verticale e ovviamente marcissima. Salendo devo stare attentissimo
a quello che tocco, non posso buttare giù tutto perché Niccolò non è lontano
dalla traiettoria, riparato alla meglio sotto un alberello; incontro un chiodo,
arrugginito e ballerino tanto che non mi fido nemmeno ad appendermi, piazzo
qualche protezione veloce e pianto chiodi dove la roccia è meno peggio, poi
altri chiodi di Zuffa infissi nella sabbia, forse una sosta, ma non ci penso
nemmeno e fermarmi lì e proseguo. Poco oltre si intravede una cengia, punto a
sostare lì; arrampico molto lentamente e con la massima attenzione, in libera,
le corde scorrono male e faccio una fatica terribile, mi riposo lungamente
sulle poche protezioni che ritengo sicure. Sono solo 40 metri, ma ci metto
quasi due ore. Arrivando all’agognata cengia, trovo la sosta davvero malmessa:
un grappolo di vecchi chiodi a pressione arrugginiti e cordini logori, posta
sotto un piccolo strapiombo. Mi guardo attorno preoccupato, devo trovare
un’alternativa a quella brutta sosta; scorgo due spit pochi metri a sinistra,
sulla cengia, che raggiungo a carponi: per fortuna una sosta sicura!
Recupero Niccolò, anche lui
tribola parecchio, mi lancia qualche imprecazione, martella per cavare qualche
chiodo, butta giù i sassi instabili per ripulire un po’ la via, fa un piccolo
volo per un appiglio che si stacca, nessuna conseguenza e pian piano mi
raggiunge. Mi dice che sono fuori di testa, penso che quasi quasi ha ragione.
Stretti in sosta riflettiamo sul da farsi; è tardi, la roccia fin ora è stata
spaventosamente friabile, iniziamo ad essere stanchi. Ma ormai siamo qua e
possiamo ancora proseguire: la roccia in Pietra migliora salendo, ma per la via
in questione diverse persone ben informate ci hanno assicurato che questa
regola non vale...
sarà vero?
Proviamo ad "assaggiare"
lo strapiombo. Più in là s'intravede
un pilastrino che sembra giusto appoggiato lì, pronto a volare giù al minimo
tocco;
la via lo rimonta verticale. Il tettino è breve, un passaggio dove servono
atleticità e appigli saldi, ma mancano entrambi. Trovo un vecchio cuneo in una
fessura, in una posizione comodissima per azzerare il passaggio, ma appena lo
tocco questo cade giù per la parete. Provo a mettere un friend al suo posto, ma non ci
sta e mi cuocio le braccia. Non me la sento proprio, Nick nemmeno, concordiamo
nel finirla qua e scendere in doppia.
Torniamo verso valle ai nostri
impegni pomeridiani, nessun successo oggi se non quello di riportare a casa la
pelle. Siamo felicissimi per la mattinata di vera avventura, ancora una volta
ci siamo divertiti nella Pietra che piace a noi, anche oggi abbiamo terra e
sabbia fin nelle mutande. Ci chiediamo se mai torneremo a completare la salita
e infine concordiamo che, per un po’, è meglio rimettere questo sogno nel
cassetto.
Dovranno passare più di due
anni perché altri squilibrati si vadano ad infilare su per l’arenaria sabbiosa
della Zuffa-Lenzi: sono Matteo, Diego ed Alessandro, forti forestieri
innamorati della Pietra. Con grande pelo sullo stomaco e un approccio del tutto
diverso vincono la via prevalentemente in artificiale. Chapeau!!
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