Da sinceri amanti dell'Appennino, non è facile resistere al fascino della Sua vetta maggiore: il Gran Sasso d'Italia. Non per pignoleria il nome di questa montagna andrebbe pronunciato per intero, ma per due ragioni precise: il Grand Sasso d'Italia ha conficcate le proprie radici in terra d'Abruzzo, e come ogni Signore Abruzzese, il cognome ha da vestirsi di una preposizione "di" per suonare autentico e appartenente a queste terre; ciò nonostante il Gran Sasso è montagna nazionale, teatro di alterne vicende per l'intera durata della Storia Italiana e pesante protagonista di molti discorsi figli di una retorica (buona o cattiva) nazionale. Non solo: l'ascesa al Gran Sasso fu la prima ascesa alpinistica documentata dell'intero pianeta: 19 Agosto 1573 (
storia della prima ascensione).
Ma quello che interessa a noi è un po' di sana avventura: dai Prati di Tivo, con l'ultima corsa della funivia, riusciamo a salire alla Madonnina e, poco più giù nei pressi di un rudere, piantiamo la tenda e formiamo il campo base. La vista sulle pareti Nord ed Est del Gruppo è potente. Mangiamo e ci crogioliamo al Sole come lucertole. Abbiamo molto materiale con noi e molta acqua, dato che in tutto il Gruppo sono rare e distanti le sorgenti.
Il giorno seguente siamo i primi ad attaccare la Prima Spalla, per la via "delle placche di Odino". Per placca appoggiata ci innalziamo velocemente, proteggendoci con clessidre e friends, evitando l'unico spit presente sulla via. Sviluppo 250 metri, grado III-IV con due passi di V-.
Arrivati in cresta, per la via Normale discendiamo verso la base Sud-Ovest della parete. Probabilmente siamo i primi da molto tempo ad attraversare per il lungo tutta la parete. Scolliniamo e giungiamo al Rifugio Franchetti, dove un "local" ci consiglia la via "dei Triestini", una via storica, aperta da G. Del Vecchio, P. Zaccaria, A. Bafile il 27 Settembre 1948. Stanchi ma caricati da un caffè mirabolante ritorniamo sui nostri passi fino alle Fiamme di Pietra, dove la via sale per logiche fessure e placche fino alla cima dal Campanile Livia.
Il primo tiro, una fessura di V+ a tratti strapiombante, ci getta nel cuore del campanile. Lo saliamo seguendo la strada tracciata anni fa, logica e impeccabile, su roccia unica al Mondo. La via è interamente da proteggere, le soste invece sono spittate da poco. L'avventura prosegue per cinque tiri fino in vetta (110 m) e le difficoltà non mollano mai (IV-V). Con due doppie (anelli di calata sulle soste della via) siamo di nuovo a terra e dopo una birra al Franchetti e una bella scarpinata ritorniamo alla tenda, stanchi ma felici (come al solito). Non sappiamo che la notte si scatenerà una tempesta perfetta e spettacolare, con venti patagonici e pioggia e grandine a secchiate. La tenda non regge e siamo costretti a rifugiarci sotto la tettoia di un rifugio abbandonato. Ci sentiamo piccoli spettatori di uno spettacolo antico e affascinante. Non dormiamo tutta la notte e la mattina (venti forti ma cielo di nuovo sgombro) torniamo alla macchina, rinunciando ad una mattinata di scalata. Poco male! Abbiamo vissuto a 360° la montagna e abbiamo imparato ancora una volta quanto, con rispetto e gioia, nei suoi meandri sia appagante avventurarsi.
Nick davvero belle fotoe bella uscita!! ma sei tu il fotografo??
RispondiEliminasisi, ma il mio maestro è il barba, non c'è ombra di dubbio, gli sono debitore a vita!
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