martedì 29 novembre 2011

Ghiaccio dolomitico_alla scoperta del canalone Neri alla cima Tosa

"..Se l'inverno è in ritardo, andiamogli incontro...!" ed è così che con poche ore a disposizione ci immergiamo nell'ambiente dolomitico di Brenta, e precisamente nel gruppo della Tosa, dalla cui cima scende a nord dritto e ripido un canalone ghiacciato che separa il massiccio della Tosa da quello del Crozzon. Osservato dal Rif. Brentei, il Canalone Neri (salito per la prima volta ed in solitaria da Virgilio Neri nel 1929) ha un colpo d'occhio davvero affascinante: se ad un primo impatto appare incassato ed ombroso, quasi schiacciato nella morsa dei due giganti di pietra che lo sovrastano, osservandolo con più attenzione, si riscopre come invece ne esalti la visione complessiva del gruppo conferendogli eleganza e senso di compiutezza proprio come un farfallino orna il suo abito. Siamo in quattro, partiamo in tarda serata, ed assonnati alle 5 del mattino iniziamo a risalire la val di Brenta alla luce delle frontali. Dopo una sosta al Rif. Brentei, risaliamo la vedretta del Crozzon su neve sfondosa e faticosamente da tracciare sino a portarci all'imbocco del canale che ora si innalza ampio e regolare. Siamo però molto provati ed iniziamo a risalirlo poco speranziosi. Dopo pochi metri di colpo le condizioni cambiano drasticamente; una neve marmorea inframmezzata a tratti di ghiaccio infiamma gli animi. Iniziamo a spiccozzare come forsennati, e rinvigoriti da una nuova energia iniziamo a salire velocemente con lo sguardo fisso in alto. Affrontiamo decisi il famoso "Ginocchio" con pendenze a 60° e superando un salto verticale sulla destra con un tiro di corda: qui la progressione è bellissima. In poco più di un'ora siamo già a metà canale. Siamo a circa 2800 m quando l'ora tarda non ci permette di continuare ed a malincuore ritorniamo sui nostri passi. In discesa sul "ginocchio" siamo costretti a sperimentare una discesa nel vuoto in corda doppia su Abalakov, davvero emozionante! Lungo il sentiero di ritorno, complice la stanchezza, c'è chi riesce addirittura ad addormentarsi ed a sognare, ma non ha tutti i torti, è da poco tornata sera, anzi notte, l'oscurità inghiotte tutto e ci restituisce alla macchina così come ci aveva lasciato, quasi come se il tempo per un attimo si fosse fermato, giusto il tempo per sognare sul bellissimo canalone della Tosa!

all'imbocco del canale

spiccozzando come forsennati

sotto al "ginocchio"

sul "ginocchio"

sopra il "ginocchio"

Presanella

Cima Brenta

Sonnanbuli





Niccolò apre la strada verso il canale



saliamo velocemente su neve ottima




dolci pendii



discesa effimera

venerdì 11 novembre 2011

Storia dell'alpinismo: Il Duca degli Abruzzi


“ Nessuno dei grandi viaggiatori avventurosi è stato tanto nel mio pensiero quanto Luigi Amedeo di Savoia, Duca degli Abruzzi”   Walter Bonatti

Luigi Amedeo Giuseppe Maria Fernando Francesco di Savoia, conosciuto più semplicemente come Duca degli Abruzzi, è un personaggio che tanti hanno sentito nominare almeno una volta. A lui sono dedicati rifugi, sentieri, cime, ghiacciai, musei… insomma tutto ciò che ha a che fare con l’alpinismo e la grande esplorazione. Perché Luigi di Savoia è stato uno dei più grandi esploratori di sempre. Nato nel 1873 a Madrid, era il terzogenito di Amedeo re di Spagna, della dinastia dei Savoia. Cresciuto nell’ambiente della casa reale, ebbe un’educazione di tipo militare che forgiò il suo carattere e l’avrebbe portato a coprire alti gradi nell’esercito come si addiceva ad un principe. In generale i Savoia avevano una buona simbiosi con la montagna. Quasi tutti i componenti della famiglia andavano a caccia o a fare lunghe escursioni nelle riserve di loro proprietà come quella del Gran Paradiso. L’alpinista provetta però era Margherita, cugina di Luigi Amedeo e futura regina d’Italia. Anche ad essa sono dedicate molte cime ed in particolare la Capanna sul Monte Rosa. Il Duca degli Abruzzi fu introdotto alla montagna dal frate Francesco Denza e nel giro di pochi anni compì moltissime salite sulle Alpi Occidentali, di cui la più clamorosa fu quella al Cervino nel 1894, per la Cresta di Zmutt assieme al famoso alpinista inglese Mummery. Audace viaggiatore, Luigi di Savoia trascorre parecchio tempo in giro per il mondo, tra missioni diplomatiche ufficiali ed esplorazioni. Sempre nel 1894 compie la prima circumnavigazione completa del globo, che gli porta nuovi spunti per imprese su lontane catene montuose.
Nel 1897 porta a termine la sua prima vera spedizione alpinistica. Con notevoli sforzi la squadra guidata dal Duca compie la prima assoluta del Monte Sant’Elia in Alaska, una cima di 5489 m. La montagna era stata tentata più volte, e sebbene le caratteristiche tecniche di salita non fossero estreme, l’isolamento di questo gruppo montuoso comportava una difficile organizzazione. Il gruppo del San’Elia infatti si trova a oltre 100 km di marcia dall’ultimo paese, in una zona di forti intemperie e attorniato da vastissime aree glaciali. Ancora oggi la cima viene salita raramente per le forti difficoltà di approccio.
Quando si trovava in Italia il Duca si occupava anche di redigere gli accurati resoconti delle spedizioni, che erano completati da importanti mappe e soprattutto dalle fotografie di Vittorio Sella, capisaldi per tutti i futuri pionieri dell’alpinismo. Nell’estate del 1898 inoltre, scalò due inviolate cime nel massiccio delle Grandes Jorassess, la Punta Margherita e la Punta Elena.
Nel 1899 a bordo della nave Stella Polare, la spedizione del Duca aveva l’obiettivo di raggiungere il Polo Nord, che in quegli anni era oggetto di una frenetica corsa. All’inizio di settembre i ghiacci avevano stretto la nave in una morsa e il gruppo dovette proseguire a piedi con cani e slitte nell’inverno polare. Alla fine del Maggio 1900, la squadra di punta aveva raggiunto la latitudine estrema di 83°16’ e un mese dopo si trovavano a 86°34’, a soli 381 km dal Polo. Un’impresa incredibile per quell’epoca considerato che anche il rientro comportò sforzi enormi e purtroppo qualche perdita. Il Polo Nord geografico venne poi  raggiunto solo nel 1948.
All’inizio del ‘900 Luigi Amedeo compì una seconda circumnavigazione del globo e venne promosso al grado di Capitano nella marina militare. Nell’anno 1906 poi, dopo un lungo periodo di organizzazione, partì quella che forse fu la spedizione più affascinante in quel periodo: l’esplorazione del Massiccio del Ruwenzori, nel cuore dell’Africa Equatoriale.  Dopo mesi di marcia attraverso la foresta, tra piogge torrenziali e nebbie, la spedizione ai Monti della Luna salì un numero incredibile di cime tra i 4000 e i 5000 metri, di cui ovviamente la vetta principale del Ruwenzori, la Cima Margherita (5109 m).
Il 1909 è l’anno della famosa spedizione in Karakorum. Il Duca degli Abruzzi è deciso a salire il K2. Con un massiccio spiegamento di uomini, attraversarono i ghiacciai raggiungendo il Baltoro. L’intuizione per la via di salita fu eccezionale e venne confermata successivamente dal fatto che venne a rappresentare la via comune di scalata. Seguirono lo sperone sud-est (oggi Sperone Abruzzi appunto) fino alla straordinaria quota di oltre 6600 metri. A quel punto causa maltempo e forti difficoltà tecniche furono costretti a scendere. La spedizione però non si fermò e continuarono le esplorazioni in zona con un tentativo allo Skyang Kangri (7544 m) e al Chogolisa (7654 m), dove il Duca raggiunse l’altezza record di 7498 m.
Negli anni a seguire l’arrivo della guerra vide Luigi Amedeo impegnato nei suoi obblighi militari come comandante delle forze navali e la successiva promozione ad ammiraglio. Nel 1919 poi viene intrapresa una campagna di bonifica agricola in Somalia, allora colonia italiana. Luigi Amedeo si innamora profondamente di questo paese tanto che vi rimarrà fino alla sua morte avvenuta nel 1933 nel villaggio da lui fondato. L’ultima grande avventura fu quella che lo portò nel 1928 a risalire il corso dell’Uebi Scebeli, il grande fiume che attraversa l’Etiopia e la Somalia, per trovarne poi le sorgenti.
Luigi di Savoia è stato il più grande esploratore del suo tempo, un avventuriero gentiluomo protagonista di un’epopea indimenticabile.

Bibliografia di approfondimento consigliata:

Vita di un esploratore gentiluomo. Il Duca degli Abruzzi di Mirella Tenderini e Michael Shandirck, edizioni Corbaccio 2006

Il principe esploratore. Luigi Amedeo di Savoia Duca degli Abruzzi di Pablo Dell’Osa, ed. Mursia 2010

Il Duca degli Abruzzi. Le imprese dell’ultimo grande esploratore italiano di G. Dainelli, 1967

domenica 6 novembre 2011

Calcare francese: Buoux e Céüse

Buoux e Céüse sono due falesie rinomate tra li arrampicatori sportivi per il calcare a presa rapida e i paesaggi incantevoli. Ogni anno centinaia di "climbers" da tutto il mondo convergono in Francia per provare e provarsi e anche noi, per una settimana, abbiamo voluto calcare le stesse orme.
Sicuramente non sono luoghi apprezzati da scalatori "anglosassoni": le vie, centinaia per ognuna delle due falesie, sono tutte attrezzate a spit, anche se con chiodatura spesso lunga. Di Alpinismo qui c'è ben poco, ma il divertimento e il godimento sono più che assicurati.
Siamo partiti in due a bordo di un Volkswagen adorabile che dal basso del parcheggio ci ha osservato teneramente per tutta la durata delle nostre ascensioni e a cui abbiamo dedicato la due vie a più tiri qui descritte.


Le Goître
difficoltà: 6a-5b-5c-5c


Il primo tiro è un diedro piuttosto complicato, con una gradazione un po' tirata. Bisogna tenere duro in alcuni passaggi e fidarsi della tenuta delle scarpette. Ci si trova spesso con le gambe totalmente divaricate ed è difficile riposare, perchè non mancano piccoli ma delicati strapiombi. I tiri successivi sono in placca: leggermente appoggiati si sale su piccole tacchette ma le difficoltà sono minori. Arriviamo in cima e scendiamo a piedi scalzi dimentichi delle scarpette d'avvicinamento. La via è alta un centinaio di metri, in un settore desolato (almeno lo era verso metà settembre).

alcune immagini della via

controindicazioni del mezzo barcaiolo


Le cul vers l'eau
difficoltà: IV-6b-IV-IV-V


Anche questa via, soprattutto il primo tiro, non è da sottovalutare e la gradazione è piuttosto scarsa. Il primo chido è a cinque metri da terra, poi si affronta uno strapiombo, poi un altro, poi un delicato passaggio in placca prima di arrivare sotto il "naso romano" fino ad un piacevole fessurone dov'è la prima sosta. Il secondo tiro è un traverso di una ventina di metri, completamente liscio che par di cadere ma poi ce la si fà. A metà una staffa aiuta chi non vuole affrontare improbabili gradi da acrobata ma preferisce azzerare. Una lunga, verde, profumata cengia rappresenta i due tiri successivi e l'unico rischio è quello di inciampare su qualche ramo di lavanda. L'ultima fatica si snoda per due diedri molto belli e una cengia solida e sottile. La cima si raggiunge con una solitaria passeggiata di mezz'ora per una plateau surreale e luminoso. L'impressione, sia ai piedi della falesia sia in cima, è di essere all'interno di un misterioso tempio di dimensioni immani, nel quale sentirsi piccoli e vulnerabili è assolutamente all'ordine delle cose.

visione d'insieme della parete sud

ampia visuale dalla sommità

l'impressiomante strapiombo dov'è tracciata la via Biographie 9a+

Piccola nota: il viaggio è terminato con un giorno d'anticipo perchè Niccolò si è stortato una caviglia cadendo su una cengia, quasi alla fine di un tiro.